5.1.16

Epifanie Musicali

Insomma. Eccoci qui. Che brutto inizio per un post, ma non so fare di meglio. Più e più volte negli scorsi mesi ho fantasticato di riversare qui i miei pensieri istantanei, ma troppi gli impegni, tanto da non riuscire mai a ritagliare lo spazio e l'intimità necessari per la scrittura. Quante parole soltanto pensate disperse nel nulla! Anche oggi l'impulso iniziale di scrivere è presto svanito e si è autosoffocato, un coperchio su una pentola che bolle, con l'acqua che invece che traboccare si prosciuga, nella consapevolezza che ormai sempre più i blog sono oasi abbandonate nel deserto, destituiti dai social, più istantanei, più "sul pezzo", enormi e subdoli buchi neri che tutto fagocitano nel breve tempo di un click e nelle ottuse logiche di algoritmi a noi preclusi. Troppo per me, che ho bisogno dei miei tempi, per far decantare e assorbire le cose, prima di poterne parlare. Sempre in ritardo su tutto, sempre fuori moda, sempre fuori synch. Machissenefrega. Se un proposito ci dovrà essere nella mia vita per questo 2016 (Gesù, non posso crederci? L'ho fatto davvero, ho parlato di propositi per l'anno nuovo? Oh, my Gosh!), è quello di "fucking let go" la rabbia verso me stessa e quello che non riesco a (voglio?) fare. Far pace una buona volta con quella che sono oggi e lasciarmi libera di vivermi e sperimentarmi, anche negli errori (?), nelle battute d'arresto che col senno di poi erano i necessari pit stop per un'anima affaticata.

Lo so, lo avrò già detto mille volte in altrettante forme, ma... No, meglio non dirlo. Meglio sentirlo. E' questa, lo so nel profondo, l'unica via per una reale, istintiva, e per questo inevitabile connessione. 
 
Oggi mi sono sorpresa a guardare con stupore affascinato la mia immagine allo specchio. Non il mio viso, ma il corpo. O meglio, la parte che la porzione limitata di specchio disponibile mi consentiva di vedere. Ho mutato forma negli ultimi due, tre anni. All'inizio è stato spaventoso. E' stato come morire. Confesso di aver temuto di essermi ammalata di un qualche male incurabile. Ma poi, col passare dei mesi e la stabilizzazione del mio cambiamento, è stato bellissimo. Un sentirsi sempre più in sintonia, il contenitore e il suo contenuto, la forma un tutt'uno con l'essenza. Il viaggio ancora continua e talvolta ancora mi sorprendo a chiedermi chi sia la persona riflessa su una vetrina o sulle porte del treno, per poi trasalire rendendomi conto di essere io. Ma è nella mia intimità casalinga, quando non c'è nessun altro intorno a me, che mi capita di sperimentare una piacevole e intensa comunione tra l'immagine e la sua incarnazione. In alcuni brevi, preziosi istanti ho persino toccato con mano il miracolo che è sentirsi pienamente in diritto di esistere, felice persino di questo!, una creatura tra le tante meravigliose dell'Universo, al pari di un albero o di un fiume. Adesso so cosa prova il bozzolo quando muore e conosco lo stupore incredulo che segue il fremito d'ali, prima timido, poi sempre più vigoroso, della farfalla. Ma il paragone è infausto, troppo breve e fragile la sua esistenza. O anche questo fa parte del pacchetto? I nostri sogni hanno la stessa caducità?

All'inizio di questo nuovo anno mi sono stranamente ricordata, in due giorni diversi, dei sogni fatti prima del risveglio. Il primo non lo scrivo, del secondo condivido la riflessione che in me ne è scaturita, e cioè che nel tentativo di difendere la mia fazione dal nemico, ho finito per mettere a rischio la vita delle persone che cercavo di proteggere e io stessa per scampare alla morte ho dovuto fuggire dal mio stesso fuoco divenuto inaspettatamente "amico" e in tal veste tornato al mittente. Cosa ha voluto dirmi il mio inconscio? Di selezionare meglio le strategie? Di "step back from the line of fire" (come in un brano che quest'anno mi ha letteralmente salvato da una situazione spiacevole)? Effettivamente il cuore mi dice che è meglio attendere, volare basso, tenere la mente e le porte aperte a nuove opportunità e collaborazioni che possano valorizzarmi come merito. E' che a volte ancora temo che non agire o smettere a un certo punto di farlo sia una rinuncia, una specie di resa da vigliacchi. E invece no, esistono circostanze in cui ostinarsi è da suicidi, oltre che da stupidi. In cui è più produttivo fermarsi e riposare, specialmente se si è stati trascinati in un combattimento da qualcuno che sapeva fin dal principio di avere molte più armi di te. Quindi? Quindi un bel respiro... e la consapevolezza che hai fatto tutto quello che in questa fase della tua vita era in tuo potere fare. Avrai modo e tempo per spostare l'asticella ancora un po' più in là.

 
YUKI, AKA PRISMA
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